Prevenzione e diagnosi delle pulpiti

di Riccardo Pucci

Il dolore pulpare è considerato uno dei dolori più intensi che una persona possa provare. Perché si verifica e come possiamo prevenirlo?

Il dolore pulpare, comunemente noto come “mal di denti”, proviene dall’interno del dente, nella polpa dentaria, dove si trovano nervi e vasi sanguigni che forniscono nutrienti al dente. Questo dolore è tipicamente “pulsante” e può essere accentuato dalla posizione distesa o da stimoli termici, ed è generalmente localizzabile con precisione.

La diagnosi di pulpite e del suo tipo si effettua principalmente tramite tre strumenti:

  1. radiografie bitewing: utilizzate per controllare lesioni cariose tra i denti;
  2. radiografie periapicali: utilizzate per valutare l’apice dentario, ovvero l’estremità della radice del dente;
  3. test al freddo: durante questo test, un batuffolo di cotone imbevuto di criospray (una sostanza che lo rende simile a un ghiacciolo) viene applicato sul dente per valutare la risposta del dente allo stimolo termico.

Infine, una valutazione clinica del dente interessato e della situazione orale generale completa la diagnosi. In odontoiatria, riconosciamo diversi tipi di pulpiti:

  1. pulpite reversibile: questo tipo di dolore è generalmente causato da una lesione cariosa ed è largamente sopportabile, esacerbato da variazioni di stimoli termici e sostanze dolci. La diagnosi viene effettuata tramite radiografie e, se necessario, un test al freddo, in cui la sensazione di stimolo termico dovrebbe cessare entro 3 secondi. La terapia è di tipo conservativo, prevedendo la rimozione della lesione cariosa e la sua otturazione con materiale composito, ove possibile;
  1. pulpite irreversibile iniziale: questo tipo di dolore è più intenso e può includere un dolore percussivo. La diagnosi si effettua con il test al freddo e radiografie. Il test termico risulta più fastidioso e intenso, con una “coda di dolore” superiore ai 3 secondi. La radiografia mostra un dente in cui la lesione cariosa ha già interessato gran parte dello smalto e della dentina, arrivando vicino alla polpa dentaria. La terapia in questi casi è di tipo endodontico, ovvero la “devitalizzazione” del dente, seguita dal suo restauro conservativo o protesico, ove possibile;
  1. pulpite irreversibile finale: in questi casi il dolore è estremamente forte. Il paziente si presenta sofferente e incapace di masticare sul dente interessato. A differenza della pulpite precedente, in questo caso il freddo aiuta a diminuire il dolore. Questo è dovuto alla conformazione delle fibre nervose all’interno della polpa. Inizialmente, infatti, vengono coinvolte le fibre nervose alfa (fibre a rapida conduzione più superficiali, che trasmettono stimoli legati al freddo), mentre in questa fase sono colpite le fibre beta, più lente e profonde, responsabili della conduzione di stimoli legati al caldo. La diagnosi si effettua quasi sempre solo con radiografie, poiché il test al freddo risulta pressoché inutile: il paziente stesso riferisce i sintomi tipici. Le radiografie mostrano la presenza di una carie destruente che ha raggiunto la polpa dentaria. La terapia è di tipo endodontico, con la “devitalizzazione” del dente, seguita dal restauro conservativo o protesico, ove possibile;
  2. necrosi pulpare: in questi casi, il paziente non avverte dolore, ad eccezione di alcuni casi in cui può sentire fastidio alla percussione del dente. Questo avviene perché l’interno del dente è andato in necrosi, quindi non ci sono più nervi e fibre in grado di trasmettere il dolore. La diagnosi si effettua nuovamente tramite radiografie e, salvo rari casi, il test al freddo non è necessario. La radiografia mostra una lesione cariosa destruente che ha raggiunto l’organo pulpare. Anche in questo caso, la terapia è di tipo endodontico, con la “devitalizzazione” del dente, seguita da un restauro conservativo o protesico, ove possibile.

Questi sono i tipi di pulpiti più frequenti e rappresentano urgenze quotidiane nella nostra pratica clinica. Ma come possiamo prevenirli?

Come in molte discipline mediche, la prevenzione è l’arma vincente. Nel nostro caso, il metodo più semplice ed efficace è sottoporsi regolarmente a sedute di ablazione del tartaro e igiene orale generale, accompagnate da visite cliniche e radiografie bitewing.

Questa pratica ci consente di rilevare anche i problemi più piccoli nelle fasi iniziali, permettendoci di sviluppare un approccio terapeutico condiviso con il paziente. Soprattutto, ci dà la possibilità di effettuare terapie conservative volte a mantenere inalterato l’organo pulpare del dente.

Per quanto riguarda la prevenzione domiciliare, è raccomandato l’uso di spazzolini manuali o elettrici e di dentifrici fluorati, a meno che non ci siano controindicazioni specifiche o indicazioni diverse da parte del proprio odontoiatra. Anche se la letteratura scientifica non ha mostrato una differenza statisticamente significativa, personalmente consiglio sempre l’uso del filo interdentale prima del lavaggio serale dei denti. Questo aiuta a mantenere una corretta igiene nel punto di contatto tra i denti, la zona più suscettibile alle lesioni cariose.

È inoltre importante limitare il consumo di sostanze dolci o molto acide e degli spuntini fuori pasto. In questi casi, è consigliabile risciacquare la bocca con un bicchiere di acqua naturale e aspettare almeno 30 minuti prima di lavare i denti, soprattutto dopo l’assunzione di sostanze acide. Questo ritardo evita di indebolire la superficie smaltata del dente con l’azione meccanica dello spazzolamento, poiché dopo circa 30 minuti i bicarbonati presenti nella saliva riportano il pH della cavità orale a valori più basici, permettendo un lavaggio dei denti più sicuro.