Cosa ci ha lasciato la pandemia da Covid-19?

Covid19

di Rossella Borneo

Nel 2020 ci siamo ritrovati ad affrontare una situazione totalmente nuova, alla quale nessuno era preparato, che ha provocato in noi stress e paura: se da un lato abbiamo sperimentato un forte senso di unione e di collettività, dall’altro siamo stati costretti ad allontanarci gli uni dagli altri per evitare il contagio. 

Come accennato poc’anzi, una situazione nuova e potenzialmente pericolosa può provocare negli individui forte stress e, se facciamo riferimento al primo periodo dell’emergenza Covid, l’incertezza, l’imprevedibilità e il timore di perdere i propri cari o di contrarre l’infezione ha messo a dura prova il nostro equilibrio.

D’altronde, una delle principali caratteristiche dell’essere umano è il suo essere sociale: nasciamo e ci riconosciamo nell’interazione con l’altro ovvero viviamo di relazioni.

Come insegna la psicanalista Margaret Mahler, la separazione-individuazione è una fase fondamentale nello sviluppo, durante la quale il bambino riconosce se stesso come persona con dei confini, con un proprio corpo e una propria mente e può definire la propria individualità a confronto con le altre persone. Proprio perché la relazione e la vicinanza sono fondamentali per l’uomo, la pandemia ha lasciato tracce che potremmo portarci dietro per anni, seppur inconsapevolmente. 

Da alcuni studi si rileva, in effetti, un incremento del disagio psicologico e una prevalenza di disturbi psichici quali ansia e depressione: non poter vedere i propri cari, non poterli abbracciare, non poterli accompagnare nel dolore e neppure donargli una degna sepoltura ha costretto molte persone ad adattarsi a nuove modalità di relazione, spesso innaturali.

È possibile rilevare tre forme di stress principali correlate all’emergenza Covid-19:

1) stress connesso ai cambiamenti nelle relazioni;

2) stress connesso all’isolamento;

3) stress connesso alla paura del contagio.

I bambini e gli adolescenti sono le categorie maggiormente colpite: abituati alla socialità, alla scoperta e alle relazioni, hanno risentito della solitudine e dell’isolamento imposti dai protocolli di sicurezza. Si pensi ai bambini nati a ridosso o durante la pandemia, che nei volti degli adulti non hanno potuto riconoscere i rassicuranti sorrisi dei loro familiari, o ai bambini che hanno affrontato i primi giorni delle scuole elementari con il viso coperto dalle mascherine e senza la possibilità di giocare con i compagni di classe. Oppure si pensi agli adolescenti che proprio nella fase della vita in esplorano nuovi modi di interagire con i propri coetanei e di relazionarsi nei gruppi, hanno dovuto rinunciare ad alcune esperienze fondamentali come, per esempio, le gite scolastiche che, per ovvie ragioni, sono state rimandate o soppresse.

Ogni persona ha dovuto, in qualche modo, adattarsi ed essere flessibile, forte della convinzione di non trovarsi da solo di fronte alla sofferenza e allo stress e imparando, in qualche modo, a percepire la presenza dell’altro. In tal senso è possibile parlare di distanza fisica, più che di distanza sociale, perché si può mantenere una compartecipazione emotiva anche se distanti fisicamente, allo stesso modo in cui è possibile essere vicini fisicamente ma non partecipare emotivamente alla vita dell’altro.

Durante le prime fasi della pandemia si sono alternati momenti di speranza a momenti di rassegnazione, abbiamo dovuto fare i conti con la frustrazione e, in molti casi, rivedere la gestione del tempo a cui siamo stati costretti ad attribuire un valore diverso. Come scrive lo psicologo Santo Di Nuovo: “È stata l’occasione giusta per capire come ascoltare il tempo interiore, al di là di quello che l’orologio segna […] l’occasione per fermarsi a vivere il tempo presente”.

Seppur in forme diverse, la popolazione ha modificato abitudini e stili di vita: si pensi per esempio ai sanitari e alle loro famiglie, a coloro che hanno perso il lavoro o che hanno subito un lutto, a chi è rimasto intrappolato in una casa non sicura: le situazioni da elencare sono molteplici e complesse, ma per fare un discorso onnicomprensivo, possiamo dire che la situazione emergenziale ci ha fatto adottare strategie e capacità di rivedere il presente e, soprattutto, di ridefinire il futuro e la nostra progettualità a breve e lungo termine.

Per questo motivo, ho scelto di concludere con una citazione di M. Fulcheri, professore ordinario di psicologia clinica presso l’Università degli Studi di Chieti:

Se il COVID-19 ha certamente cambiato a livello mondiale le 9nostre vite, la capacità di resilienza dimostrata, l’altruismo e la solidarietà che hanno caratterizzato le relazioni tra le persone, la consapevolezza e l’accettazione, sì della nostra vulnerabilità, ma anche della nostra forza, e sapere che il coraggio esiste solo se c’è la paura, ci consentono di affrontare il futuro con ottimismo. (M.Fulcheri, 2020).