di Ana Berberi
Nella storia della scienza le più grandi scoperte sono spesso avvenute grazie all’importante contributo della casualità. Questo affascinante fenomeno prende il nome di serendipità, termine di derivazione inglese che indica la capacità, o la fortuna, di fare una scoperta in modo del tutto casuale durante una ricerca scientifica orientata verso altri campi d’indagine. La penicillina, scoperta nel 1928 da parte dello scozzese Alexander Fleming, è il caso di serendipità più importante e noto della storia.
Il caso volle che lo scienziato, assentatosi per qualche giorno dal proprio laboratorio, dimenticasse un piatto di coltura batterica su cui crebbe un fungo; al suo ritorno, Fleming si imbatté nella scoperta scientifica del secolo.
Ufficialmente riconosciuta a Fleming, che nel 1929 pubblicò le sue osservazioni e nel 1945 ottenne il Premio Nobel, la penicillina in realtà ha origini più antiche: non tutti forse sanno che nel 1895, il medico e ricercatore ’italiano Vincenzo Tiberio aveva già notato la capacità delle muffe di curare una serie di infezioni, grazie ad alcune circostanze che ebbe modo di evidenziare in prima persona. Nella casa degli zii di Tiberio, l’acqua potabile era infatti fornita da un pozzo su cui frequentemente si formavano muffe: Tiberio notò che quando quest’ultime venivano raschiate via, i familiari, dopo aver bevuto l’acqua del pozzo, si ammalavano di gastroenterite; quando invece non venivano rimosse o facevano ritorno i familiari non si ammalavano o comunque guarivano.
Il giovane medico riuscì subito a cogliere lo stretto rapporto esistente tra le muffe, che altro non sono che colonie fungine, e le malattie. Decise così di procurarsi alcuni campioni, prelevandoli direttamente dal pozzo e li portò nel laboratorio dell’Università dove iniziò a studiare l’interazione tra le muffe e alcuni tipi di batteri, come colera e streptococchi. I risultati portarono a una scoperta sconvolgente: a contatto con le colonie fungine, la crescita dei batteri veniva interrotta. Lo studio sul “potere battericida delle muffe”, tuttavia, non ottenne il successo che avrebbe dovuto conseguire nella comunità scientifica internazionale del tempo e le ricerche sulle proprietà curative delle muffe rimasero sporadiche fino al 1928, quando Fleming studiò le mutazioni nelle colture di stafilococco che aveva lasciato accatastate in un angolo del suo laboratorio. In particolare, Fleming osservò che tali colture erano state contaminate da un fungo cresciuto in maniera accidentale, ma non solo: le colonie di stafilococchi circondate da tale fungo erano state distrutte, mentre quelle più lontane risultavano intatte. Fleming, quindi, analizzò la muffa e scoprì che questa era in grado di produrre una sostanza che uccideva i batteri. Il “succo di muffa”, così lo chiamò Fleming all’inizio, fu classificato come penicillium e, dopo alcuni mesi, venne ribattezzato con il nome di “penicillina”.
Otto mesi dopo le sue prime osservazioni, lo studio venne pubblicato sul British Journal of Experimental Pathology, ma all’epoca si prestò poca attenzione all’articolo.
Passarono quindici anni dalla scoperta quando la penicillina venne impiegata come farmaco cambiando le sorti dell’umanità e ancora oggi, i suoi derivati sintetici costituiscono uno degli arsenali più potenti della terapia medica.