I vaccinati contro l’HPV sono ancora troppo pochi

a cura di Michela Vuga per conto della Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro

Sono passati quasi vent’anni da quando i primi vaccini contro il Papillomavirus (HPV), sono stati approvati e hanno avuto inizio le campagne vaccinali rivolte alle dodicenni. L’obiettivo era proteggere le donne dallo sviluppo del tumore della cervice uterina di cui l’HPV è il principale responsabile. Tale obiettivo è stato raggiunto? I casi di cancro nelle donne vaccinate sono diminuiti? 

“Sì, i vaccini hanno funzionato” afferma Domenica Lorusso, professoressa ordinaria di ostetricia e ginecologia dell’Humanitas University di Milano e ricercatrice AIRC. “L’Australia è il Paese che per primo, nel 2007, ha introdotto in maniera sistematica le campagne vaccinali. I loro dati mostrano che a distanza di vent’anni si è verificata una netta diminuzione di tutte le lesioni alla cervice uterina causate dal virus, in particolare per le displasie di alto grado, che nell’80% dei casi evolvono in carcinoma”. L’efficacia di tale vaccinazione è confermata anche da uno studio pubblicato all’inizio di quest’anno sul Journal of the National Cancer Institute, condotto in Scozia, in cui sono stati analizzati i dati clinici di oltre 450.000 donne nate tra il 1988 e il 1996: tra le vaccinate a 12 o 13 anni non si è registrato alcun cancro invasivo, e tra quelle vaccinate più tardi, tra i 14 e i 22 anni, si è riscontrata comunque una significativa riduzione dei casi rispetto a tutte le donne non vaccinate (3,2 su 100.000 rispetto a 8,4).  Un risultato importante anche considerando che il vaccino somministrato era bivalente, cioè efficace solo contro due ceppi di Papillomavirus, mentre i vaccini oggi disponibili offrono una copertura fino a nove ceppi.

La situazione italiana 

Al momento, in Italia non disponiamo di simili studi. È però assai preoccupante constatare che, negli ultimi anni, l’adesione alle campagne vaccinali continui a decrescere, nonostante una recente indagine del Censis abbia rivelato che il 70% dei genitori teme i tumori più di ogni altra malattia. Siamo ancora molto lontani dal 95% di copertura nel dodicesimo anno di vita, previsto dal Piano nazionale di prevenzione vaccinale: nel 2021 si sono vaccinate il 32% delle dodicenni e il 26% dei loro coetanei maschi (anno di nascita 2009); se guardiamo a chi ha un anno di più (i nati nel 2008) risulta vaccinato il 53% delle ragazze e il 44% dei ragazzi. “Per indurre la cosiddetta immunità di gregge è necessario che aderiscano alla vaccinazione anche i maschi. Ciò è importante non solo per prevenire il cancro della cervice: il Papillomavirus, infatti, è responsabile del 5% di tutti i tumori” spiega Lorusso. Oltre a quelli femminili di cervice, vulva e vagina, l’infezione da HPV è correlata allo sviluppo di tumori del retto, dell’ano e dell’orofaringe. “Il virus è sessualmente trasmesso: vaccinare anche i maschi consente di ottenere una protezione maggiore nei confronti di tutte le neoplasie correlate all’HPV.” 

Non solo a dodici anni

Il vaccino esercita la sua massima efficacia quando l’organismo non è ancora entrato in contatto con il virus: ecco perché le campagne vaccinali sono rivolte ai dodicenni, che si suppone non abbiano ancora avuto rapporti sessuali. Oggi, però, sappiamo che il rischio di infettarsi si abbassa anche vaccinandosi più tardi e, per tale motivo, è stata ampliata la fascia di età in cui il vaccino è gratuito: dai 12 ai 26 anni le femmine, dai 12 ai 18 anni i maschi. “Inoltre, i dati ci dicono che anche donne di 45-50 anni continuano a beneficiare del vaccino pur essendo già verosimilmente entrate in contatto con il virus” assicura Lorusso. 

La vaccinazione è importante anche per chi ha già subito le conseguenze dell’infezione: “Se una donna ha una diagnosi di displasia, che è una delle lesioni causate dal virus, prima si cura e poi fa il vaccino, che in questi casi è gratuito. In questo modo si riduce il rischio che la displasia possa ripresentarsi in futuro; una prassi che vale anche per gli uomini che, magari, hanno avuto una displasia in zone perigenitali o anali”. 

Infine, è bene ricordare che per le donne è necessario aderire comunque allo screening per il tumore della cervice uterina, che utilizza, a seconda delle fasce di età, il Pap test o l’HPV-test: “In primo luogo perché il vaccino non fornisce una protezione totale, benché questa sia superiore al 90%, e poi perché circa il 10% dei tumori della cervice non è legato al Papillomavirus. Questi sono i motivi per cui non bisogna trascurare la prevenzione secondaria offerta gratuitamente dallo screening”.

Una campagna globale contro l’Hpv

Entro il 2030, il 90% delle ragazze entro i 15 anni dovrà essere vaccinata contro l’HPV: questo è uno degli obiettivi che si è posta l’Organizzazione mondiale della sanità per eliminare il tumore della cervice. Nel mondo, ogni anno 600.000 donne vengono colpite dalla malattia e circa la metà non sopravvive; ciò accade nella maggior parte nei Paesi più poveri dove mancano i vaccini, non ci sono screening per la diagnosi precoce del tumore e spesso nemmeno cure adeguate. In Italia, sebbene questi strumenti siano a disposizione, ogni anno si registrano circa 2.600 nuove diagnosi e oltre mille decessi: per questi e altri motivi è nostro dovere fare di più.