di Ana Berberi
In ogni angolo del mondo la decorazione della pelle con pigmenti colorati e permanenti costituisce una pratica comune. Nonostante ciò, per molto tempo la scienza non ha saputo spiegare come i tatuaggi interagissero con il nostro corpo. Negli ultimi anni questo tema ha solleticato l’interesse dei ricercatori di ingegneria chimica, dermatologia e antropologia medica che oggi stanno studiando i tatuaggi come mezzo terapeutico, ossia come un possibile veicolo di somministrazione di farmaci e capace di monitorare e diagnosticare le malattie.
Contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, i tatuaggi non sono unicamente figli dei nostri tempi. Nel 1991 due escursionisti delle Alpi italiane si imbatterono casualmente in un corpo congelato: non potevano di certo immaginare di aver appena scoperto il più antico esempio di essere umano tatuato! Conosciuta affettuosamente come Ötzi, la mummia di ben 5.300 anni vanta 61 tatuaggi costituiti da linee e croci, di cui la maggior parte si trovano in luoghi riconosciuti come terapeutici dalla tradizionale agopuntura.
I tatuaggi furono infatti realizzati in punti del corpo destinati a rimanere coperti da indumenti per la maggior parte del tempo: è poco probabile, quindi, che avessero una funzione decorativa, ma sembra più plausibile che assolvessero a uno scopo terapeutico. Si trovano infatti in corrispondenza di parti del corpo contraddistinti da marcati segni di usura e che forse erano causa di dolori. Anche altre due mummie preistoriche provenienti dalla Siberia e dal Perù mostrano prove di tatuaggi sui comuni punti di agopuntura. Secondo le pratiche della medicina cinese, oggi si pensa che un tatuaggio sia in grado di stimolare il punto di agopuntura in misura maggiore rispetto alla pratica standard, effettuata su un corpo privo di tattoo. Tale scoperta potrebbe dunque aprire nuovi orizzonti per la medicina alternativa.
Ma come reagisce il nostro organismo quando un tatuatore buca la pelle con aghi carichi di inchiostro?
Una volta che il pigmento entra nella pelle, i macrofagi (cellule appartenenti al sistema immunitario) divorano le particelle di colore come se si trattasse di microbi invasori. Quando i macrofagi contenenti pigmenti muoiono, rilasciano le particelle di pigmento nel derma e successivamente altri macrofagi le inghiottono. Gli scienziati sostengono che tale processo di “cattura-rilascio-ricattura” sia alla base della permanenza dei tatuaggi. Questo meccanismo potrebbe costituire il fondamento di un nuovo metodo di somministrazione di farmaci e potenzialmente dei vaccini a DNA perché, attraverso la pelle, indurrebbero una risposta immunitaria più marcata rispetto ai vaccini iniettati nel muscolo. Mentre altri gruppi di ricerca utilizzano i tatuaggi come interfaccia tra il corpo e l’ambiente sviluppando pigmenti che cambiano colore in base alla radiazioni, un gruppo di ingegneri chimici dell’Imperial College di Londra disegna tatuaggi “smart” che rilevano il funzionamento interno del corpo umano. Questo team utilizza inchiostri in grado di variare colore in risposta ai cambiamenti nel fluido interstiziale, ossia il liquido che trasferisce nutrienti e prodotti di scarto tra i capillari e le cellule. Quindi, monitorando tali biomarcatori, il tatuaggio potrebbe fornire alle persone importanti informazioni sulla loro funzionalità epatica e renale o avvisare in caso di squilibrio idrolitico.
Prima di arrivare a questi grandiosi risultati, è ancora necessario superare ostacoli significativi. In particolare, i ricercatori stanno cercando di capire come invertire il sensore in modo che, una volta reagito a uno stimolo nel corpo, possa ripristinarsi ed essere pronto a reagire di nuovo.
Dalle delicate pigmentazioni di Ötzi ai sensori di prossima generazione, i tatuaggi fanno parte dell’esistenza umana fin dall’inizio e probabilmente ci accompagneranno a lungo nel futuro, migliorando la salute umana e raccontando la nostra storia… con colori sempre più vivaci!