di Rossella Borneo
Quando si parla di stress non si può tralasciare una specifica forma correlata al lavoro.
Può accadere, infatti, che l’eccessivo impegno lavorativo conduca a un vero e proprio “collasso”, sia dal punto di vista emotivo che dal punto di vista fisico, che determina a sua volta una scarsa motivazione nello svolgimento della propria attività professionale.
Nell’ICD-11 (l’XI edizione dell’International Classification of Diseases pubblicata nel maggio 2019), l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce il burnout un disturbo da attribuire soltanto alla sfera lavorativa, anche se la sintomatologia è assimilabile ad altre forme di stress.
Il termine burnout, dall’inglese to burn che letteralmente significa bruciare, in italiano viene infatti tradotto con l’espressione bruciato, scoppiato, esaurito.
Il burnout viene definito come una sindrome in cui si manifestano esaurimento emotivo, una sensazione di inaridimento nel contesto lavorativo e una persistente stanchezza, sia fisica che mentale; un’altra delle principali costanti del burnout è la depersonalizzazione, ossia la tendenza ad allontanarsi sempre più dal proprio lavoro a livello emotivo, assumendo atteggiamenti di cinismo e negatività, accompagnata da sensazione di inadeguatezza, ridotta efficacia personale e fiducia in se stessi e nelle proprie competenze.
Il termine burnout è stato introdotto nel 1975 dalla socio-psicologa Christina Maslach, che lo ha definito come una perdita dell’interesse dell’operatore verso le persone con cui è in relazione e svolge la propria attività. In effetti, è possibile parlare di questa sindrome soprattutto nell’ambito di attività professionali di relazione con le esigenze dell’altro, come per esempio:
– infermieri, medici, personale sanitario in generale;
– assistenti sociali;
– insegnanti;
– psicologi/psichiatri;
– Forze dell’Ordine.
In generale, gli helper, ovvero i lavoratori che svolgono attività socio-assistenziali che prevedono un intenso coinvolgimento emotivo e un’interazione centrata sulla relazione, sono molti e sono soggetti a una duplice fonte di stress:
- personale;
- derivata della persona assistita.
È importante, tuttavia, sottolineare che tale sindrome può insorgere anche nei soggetti che svolgono altre professioni.
Le tre dimensioni fondamentali correlate al burnout, definite dall’OMS, sono le seguenti:
1) esaurimento: la persona si sente prosciugata, sperimenta un’incapacità nel rilassarsi e recuperare le energie e avverte la sensazione di aver oltrepassato il proprio limite;
2) cinismo: la persona assume un atteggiamento freddo e distaccato nei confronti del lavoro e delle persone e diminuisce, fino ad azzerare, il suo coinvolgimento emotivo;
3) inefficienza: la persona si sente inadeguata, non riesce a fare progressi e ogni nuovo progetto viene vissuto come un ostacolo opprimente.
La sintomatologia comprende sintomi fisici, quali stanchezza, irritabilità, cefalea, dolori alla schiena, inappetenza, crisi di pianto o nausea, e sintomi psichici, quali stato di costante tensione, senso di frustrazione, senso di fallimento, ridotta produttività, perdita di interesse verso il proprio lavoro, reazioni negative nei confronti di colleghi e famiglia, apatia, demoralizzazione, disimpegno sul lavoro e distacco emotivo.
Lo stress sperimentato sul posto di lavoro, inoltre, potrebbe influire sulla vita familiare e personale del professionista, ampliando il malessere e il disagio provato, ma anche inficiare la qualità del lavoro svolto e il rapporto con l’utenza.
Per evitare di provare un disagio così debilitante per la propria vita personale e professionale, risulta fondamentale la prevenzione.
Alcuni studi sulla tematica sottolineano indubbiamente l’importanza di enfatizzare gli aspetti positivi del proprio lavoro, evitando di concentrarsi sugli aspetti frustranti.
È altresì importante riuscire a coltivare relazioni ed interessi che siano al di fuori del lavoro e imparare a non portare a casa le problematiche lavorative.
Di grande importanza è la consapevolezza di poter contare sulla propria équipe di lavoro, con cui condividere difficoltà e responsabilità, e di avere la possibilità di confrontarsi periodicamente con l’organizzazione di cui si fa parte al fine di favorire una crescita continua.
Per ciò che concerne la responsabilità e il senso di fiducia, è essenziale che il lavoratore avverta di essere responsabile per se stesso e per gli altri e di godere della fiducia da parte dei propri superiori.
L’autrice C. Maslach sostiene che è impegnare le energie e continuare a farlo anche quando sono esaurite, sottrae il tempo necessario per ricaricarle: risulta quindi necessario ritagliare uno spazio da dedicare a noi stessi per entrare e rientrare in contatto con le emozioni.
Per prevenire il burnout serve EQUILIBRIO.
È infatti importante che ci sia equilibrio tra dare e ricevere, tra lavoro e vita personale, tra momenti di stress, adrenalina, movimento, dinamicità e momenti di tranquillità e pace.