Di Nadine Perretti e Simone Boglione
Il parto è un fenomeno fisiologico che accomuna tutti i mammiferi di sesso femminile; nell’essere umano viene vissuto con ansia dalle future mamme in quanto molte di esse lo descrivono come un’esperienza fortemente dolorosa. Il proposito di questo articolo sarà quello di provare a “normalizzare” un evento che costituisce un processo naturale per la donna dal momento che risponde all’istinto di sopravvivenza e che si concretizza con l’atto della riproduzione.
Partiamo dal presupposto che le donne sono nate “sapendo” come partorire. È una delle abilità inconsce e ancestrali strettamente regolate dai Sistemi Nervosi e Ormonali e, pertanto, indipendente dalla volontà. Eppure, la psiche e l’emotività ricoprono un ruolo rilevante durante il parto, tanto da influenzare considerevolmente la qualità dell’esperienza: per viverla in modo positivo, consapevolezza e informazione possono venire in aiuto.
Ma cosa accade durante il parto?
Premesso che la gravidanza viene considerata “a termine” nel periodo tra la trentasettesima e la quarantaduesima settimana; in medicina, il processo del parto viene suddiviso in quattro fasi, molto variabili da donna a donna in termini di tempo e comunque non così nettamente distinte l’una dall’altra.
- La prima è quella dei prodromi, che non è considerata ancora travaglio quanto piuttosto una fase preparatoria, in cui la cervice, ovvero il collo uterino, si ammorbidisce e si appiattisce, mentre l’utero assume una forma più tondeggiante. La perdita del tappo mucoso, che può avvenire anche alcune settimane prima del parto, indica l’inizio della fase prodromica. Si possono avvertire delle contrazioni, più o meno dolorose, caratterizzate dall’assenza di un ritmo regolare.
Il movimento aiuta a favorire il progresso del travaglio e, se ci sono le condizioni, è consigliabile alla futura mamma di passeggiare e muoversi un po’.
- Con la seconda fase, chiamata dilatante, si entra nel travaglio, considerato tale al raggiungimento dei 4 cm di dilatazione. Tale processo è individuabile dalla comparsa delle contrazioni che diventano più intense e via via sempre più regolari; in genere, durano circa 1 minuto a intervalli di 5 minuti l’una dall’altra. Il collo uterino raggiunge per convenzione il suo diametro massimo intorno ai 10 cm di dilatazione e, contestualmente, il bimbo inizia a scendere nel canale del parto. Anche in questo caso il movimento favorisce il corretto posizionamento del bambino facilitandone l’adattamento al bacino materno. Quali sono i movimenti da compiere durante questa fase? Le ostetriche oggi sono molto informate e preparate sulla biomeccanica e sapranno certamente suggerire la posizione da assumere per facilitare il processo, ma è fondamentale rimanere sempre in ascolto del proprio corpo e dell’istinto.
- Quando il collo dell’utero raggiunge la dilatazione di 10 cm la donna avverte i “premiti”, ovvero il desiderio e il bisogno (involontario!) di spingere. È in questo momento che si entra nella terza fase, quella espulsiva, talvolta preceduta da un momento definito “latente”, in cui le contrazioni cessano temporaneamente per concedere alla madre e al bambino il tempo di “ricaricare le batterie” prima del loro incontro. Questa fase si verifica nel caso in cui il corpo della partoriente riconosca un’eccessiva stanchezza e, normalmente, il personale sanitario attende che le contrazioni ripartano spontaneamente. Il bimbo in condizioni fisiologiche compie una flessione del capo e ruota il corpo verso l’interno, adattandosi al bacino della madre fino alla fuoriuscita della testa che, ruotando di circa 45 gradi, permetterà l’uscita prima delle spalle e poi del resto del corpo. Se ci si chiede quale sia la posizione migliore da assumere in questa fase, la risposta è che sarà il corpo della partoriente e del bambino in grembo a definirla. In fondo, la nascita è un processo di collaborazione tra mamma e figlio! Piccolo spoiler: la classica posizione che viene fatta vedere in molti film in cui la madre si trova supina sul lettino con le gambe piegate non è la più indicata, in quanto non sfrutta la forza di gravità che può fornire un’enorme contributo al processo.
- Alla nascita del bimbo segue un’ultima fase chiamata secondamento, caratterizzata dall’espulsione della placenta. In questo lasso di tempo viene eseguito anche il clampaggio del cordone ombelicale, con la verifica di assenza di pulsazione e perdita di colore, indicando che il sangue residuo è stato trasferito dalla mamma al proprio bambino.
Il dolore del parto
In generale il dolore rappresenta l’espressione di qualcosa che non funzione nel corpo; il dolore del travaglio è invece l’unico non legato a uno stato patologico e, dunque, non ha la funzione di allarme ma piuttosto di “guida”: inizialmente indica alla partoriente che è arrivato il momento di mettersi alla ricerca di un luogo intimo, raccolto e soprattutto sicuro per dare alla luce il proprio cucciolo. Altra caratteristica che lo differenzia dalle altre sintomatologie dolorose è il ritmo: ha una fase iniziale che lo porta gradualmente a raggiungere un picco acuto per poi discendere fino a scomparire completamente permettendo alla donna di recuperare e poi ripartire.
In condizioni di parto spontaneo, il corpo interviene in aiuto della mamma attraverso un ormone, l’ossitocina che, tra le varie funzioni, ha il compito di regolare le contrazioni uterine ed è responsabile dello straordinario incantesimo per cui le donne riescono a “dimenticare” quasi totalmente il dolore del parto.
Il momento della nascita crediamo sia davvero uno dei processi fisiologici più affascinanti attraverso cui il corpo umano esprime la sua immensa potenza. Le donne sono mammiferi programmati per partorire e il parto è l’attuazione dell’istinto di sopravvivenza e mantenimento della specie! Il dolore del parto è inoltre l’unico a garantire un premio finale: il proprio bebè. Insomma, non resta davvero che augurare alle donne in gravidanza di vivere questa straordinaria esperienza nel modo più sereno possibile: buon travaglio a tutte!