di Monica Campanella
Non credo che esistano letture riconducibili al genere femminile; eppure in alcune storie, non importa se reali o inventate, è difficile non riconoscere una sensibilità muliebre, che tocca spesso temi profondi e a volte inconfessabili.
Quest'oggi mi piacerebbe parlarvi d un bel romanzo: La figlia unica di Guadalupe Nettel, scrittrice messicana profondamente legata all’Europa.
La storia è apparentemente semplice: due amiche, Laura e Alina, conosciutesi a Parigi da ragazze, si ritrovano a Città del Messico molti anni più tardi. È Laura a raccontare: “Quando si è giovani è facile avere ideali e vivere in accordo con essi. La parte complicata è mantenere la coerenza nel tempo, nonostante le sfide che la vita ci impone”.
Scorre tra le pagine la vita professionale e affettiva delle due donne, legandosi anche a quella di altri personaggi; in tutti questi incroci, tuttavia, c’è un unico filo conduttore: la maternità, che diventa l’evento di sviluppo narrativo imprescindibile nella storia. E così, ciascun personaggio si ritroverà a percorrere una via di formazione, non attraverso gesta eroiche ma trasformando in piccoli atti eroici i gesti di ogni giorno.
“Ho pensato che l’amore si rivela spesso illogico, incomprensibile… Chi non si è tuffato in un amore abissale pur sapendo che non avrebbe avuto futuro, aggrappato a una speranza fragile come un filo d’erba?”
Questa riflessione, catturata nelle parole della protagonista , restituisce al meglio il senso del romanzo, capace di narrare con delicatezza dibattiti di grande complessità e di trattare tematiche che non lasciano il lettore indifferente.
La figlia unica è un romanzo profondo, sofferto e allo stesso tempo pieno di coraggio. Una lettura che lascia il segno, decisamente consigliata.