Finita la quarantena, vi riportiamo l’esperienza, in fase 1, di una mamma con un figlio disabile. Il racconto è puntuale e dettagliato e narra la quotidianità di una madre in smartworking con un ragazzo “speciale”:
La vita di una famiglia con un figlio disabile è, nella norma, frutto di instancabile e quotidiano lavorìo per trovare il giusto equilibrio tra routine e flessibilità. Tutto nasce da scelte ponderate (molto ponderate) e poco o niente è lasciato al caso: la scuola, le attività extrascolastiche, gli specialisti necessari per sviluppare competenze, i tutor per i compiti. Tutto viene vagliato, soppesato e poi si decide. Si vive costantemente in allerta, pronti ad intervenire agli imprevisti di fronte ai quali abbiamo imparato ad attrezzarci. I nostri figli non amano i cambiamenti. La routine è estremamente rassicurante non tanto perché siano abitudinari (non lo sono), ma perché è già tutto tanto difficile che avere una routine quotidiana li libera da alcune preoccupazioni. Non a caso le nostre abitazioni sono tappezzate di schemi, fogli su cui annotiamo tutto: la scansione e il ritmo delle nostre giornate sta lì. Niente è scontato a partire dalle normali conquiste dei bambini (camminare, dormire, mangiare, scrivere, leggere, vestirsi,..) che prima o dopo arriveranno, ma sono frutto di impegno, lavoro, prove infinite, piccoli stratagemmi e, in alcuni casi, il risultato a cui si arriva non è all’altezza dell’impegno profuso. Insomma, per noi – e soprattutto per i nostri figli – il quotidiano, la banalità del quotidiano è vista come una piacevole conquista. In questo quotidiano la vita sociale, intesa come scuola o sport, come centri diurni o lavoro, è vitale perché è nella socialità che i nostri figli si mettono alla prova e sono obbligati a dare il meglio di sé, a superare il loro limite, a stare fuori dalla zona di comfort migliorando, acquisendo nuove abilità. Bene, un giorno tutto questo svanisce: è la quarantena, bellezza! Pensavi di essere pronto a tutto e invece no. Se sei fortunato – come lo siamo noi – non ti devi preoccupare degli aspetti legati alla salute, nel senso che non ci sono patologie pregresse e quindi non sei “soggetto a rischio”. Però… Quando arriva la notizia quasi non la vuoi sentire. Tu dici e dici a tuo figlio che passerà, che tornerà presto a scuola, a nuoto e a sciare. Sì, anche D. tornerà ad aiutarlo con i compiti, andrà di nuovo a teatro e al bar con i suoi amici, ma dentro di te sai che non è proprio così. Mentre dici queste cose rassicuranti stai già pensando a come sfangarla, a quali accorgimenti mettere in atto per restituire routine e stimoli a tuo figlio e cerchi di capire come tutto questo può diventare un’occasione. In fondo, ne hai viste di peggiori ti dici (poco convinta). Per prima cosa organizzi. Questo significa che inizi a scrivere o a telefonare alle professoresse e al tutor per dare continuità didattica. Il problema non è rimanere indietro con il programma, ma perdere l’abitudine ad apprendere. C’è un però: Matteo infatti non è del tutto autonomo nello svolgere i compiti e senza D. e la sottoscritta a casa ma in smartworking la cosa potrebbe essere impossibile. È lì che capisci che questa è un’occasione per far fare a Matteo un passo avanti nella conquista di autonomia. Certo, questo significa prepararsi e calibrare tutto. Stabilisci tabelle di marcia, compiti che può svolgere in autonomia, cerchi – aiutata dall’infinita quantità di contenuti di valore in rete – filmati, audiolibri e giochi sugli argomenti scolastici che sta svolgendo e, se fa fatica a leggere il primo canto dell’Orlando Furioso, può ascoltarlo recitato, se “Sogno di una notte di mezz’estate” è tanta roba da leggere e capire in inglese e va fatto insieme, può nel frattempo guardarsi il film per apprezzarne la bellezza. Le leggi del moto di fisica? Pensare a quattro esempi a partire dalla vita quotidiana e usando oggetti di casa. Una app per il francese e poi video lezioni con D. Questo mese di quarantena è diventata un’occasione per Matteo, che è cambiato e ha raggiunto un’autonomia che diversamente avrebbe richiesto tempi più lunghi. Ha trovato la sua dimensione in una situazione anomala, in cui tutti stiamo stretti, in cui le limitazioni pesano molto. Lui, abituato com’è a vivere in un mondo ostile o quanto meno faticoso sempre, ha saputo dare il meglio di sé.
Matteo è un ragazzino disabile che comunque ha avuto la fortuna di nascere “dalla parte giusta”: ha accesso ad internet senza problemi, possiede un tablet e un telefono, viviamo in una casa sufficientemente grande per non pestarci i piedi e non abbiamo problemi economici. Matteo è quindi in una situazione molto protetta, mentre alcuni suoi coetanei o adulti con disabilità cognitivo-relazionale, già normalmente poco visibili agli occhi dei più, oggi sono invisibili, sono soli e un periodo così lungo senza stimoli può voler dire regredire, perdere molte delle abilità conquistate con fatica. A loro va il mio pensiero.
Cristina Cabodi
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